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La Divina Commedia nel mondo

Vent'anni con Dante e la Commedia a Ravenna e nel Mondo

01/10/2007

Vent'anni con Dante e la Commedia a Ravenna e nel Mondo

(1989-90 / 2009-10)

Da Vittorio Sermonti a 40 versioni in Europa, Asia, Africa, America

di Walter Della Monica

Finita la Commedia, Dante, in quel settembre del 1321 a Ravenna, ebbe appena il tempo d’accorgersi che era alla fine dei suoi giorni. Morto, rimase più vivo che mai. Il culto ebbe subito inizio con i commenti alla sua opera, e tanti se ne sarebbero aggiunti attraverso i secoli, con alti e bassi a seconda dei tempi.

Il culto dantesco dunque ebbe inizio per opera del figlio Jacopo e di ser Graziolo Bambaglioli, bolognese, che spiegarono “lo Inferno” nei simboli, significati e oscurità. Poi s’ebbero i commenti di tutto il poema di un altro bolognese, Jacopo della Lana, quelli di uno sconosciuto fiorentino e dell’altro figlio del poeta, Pietro.

A metà del Trecento, Boccaccio leggeva e divulgava i primi diciassette canti dell’Inferno nella chiesa di Santo Stefano in Badia di Firenze; a lui altri si aggiunsero, l’imolese Benvenuto Rambaldi, Francesco da Buti, considerati i primi pubblici lettori della “Commedia”. Al Boccaccio fecero seguito Antonio, pievano di Vado, Filippo Villani e Giovanni Malpaghini. Poi, per mancanza di fondi, le letture furono sospese dopo il corso tenuto da Giovanni Ghedini. Riprenderanno qualche anno più tardi, in S. Maria in Fiore, sempre a Firenze, con Antonio Neri che si presterà, gratuitamente, a continuare il culto dantesco, leggendo e spiegando al popolo la “Commedia” (solo nel 1355 Lodovico Dolce la chiamerà “Divina”).

Di chiesa in chiesa, altri commentatori si alterneranno in seguito e, a Firenze, dopo un secolo dalle prime pubbliche letture, si continuano a leggere e a spiegare, ai fedeli che affollano le chiese, i versi di Dante come fossero quelli della Bibbia.

In altre città italiane intanto - siamo nel Quattrocento - va estendendosi l’iniziativa, si organizzano cicli di letture nelle chiese, università e conventi; non mancano anche pause e silenzi, non si sa se per mancanza di
commentatori (gratis et amore Dei) o di nuovi uditori. La fortuna del poeta naviga tuttavia a pieno vento.

Alle famose edizioni dell’Aldina e della Crusca, il Cinquecento aggiunge le figurazioni di Michelangelo e Raffaello ispirate a motivi allegorici della Commedia, e ciò sembra consacrare la fama di Dante, nonostante che il diagramma del culto tenda a curvare in giù, per scendere paurosamente nel Seicento a causa della riscoperta del gusto petrarchesco.

Il Settecento è ancora incerto e segue degli alti e dei bassi, pro e contro, con le nuove interpretazioni e i commenti di Vico, Gravina, Bettinelli (ferocemente contro) e Gozzi con la sua appassionata “difesa di Dante”. Tutto questo preparerà, specialmente da parte del Vico e del Gozzi, la straordinaria impennata dell’Ottocento con cui la grandezza di Dante s’imporrà definitivamente. Grandezza che Alfieri, Foscolo, Leopardi e De Sanctis consegnano al Novecento.

Ma, eccoci, arrivati ai nostri giorni. Il culto dantesco sembrava non avere più spazio per espandere la sua meravigliosa parabola. Sembrava. Il Novecento invece rinnova e amplia il massimo interesse e ascolto per Dante. E lo trasmette al nuovo secolo e poi al nuovo millennio, a sempre nuovi studiosi e divulgatori, a nuovi luoghi e ascolti, compresa quella stessa chiesa che vide il poeta per l’ultima volta. In quella stessa Ravenna che lo accolse quasi sette secoli prima e che oggi ne ha fatto un simbolo della sua lunga storia e della sua cultura.

A questo punto, e proprio da questo luogo, possiamo iniziare il racconto in prima persona di quella straordinaria avventura dantesca vissuta negli ultimi vent’anni, a partire dal 1989/90.

E’ stato scritto, in occasione di una rievocazione del Trebbo Poetico della poesia italiana (che mezzo secolo fa, partendo dalla Romagna, ebbe in Italia una certa fama e risonanza), come lo stesso Trebbo Poetico fosse da considerare l’apripista delle famose letture di Vittorio Sermonti della Divina Commedia, a diretto contatto col pubblico. E che sia stato anche l’anticipatore del “successivo dilagare del fenomeno delle pubbliche performance e lo scatenarsi di autentici fanatismi di fronte ad eventi simili, proposti da noti attori quali Carmelo Bene, Vittorio Gassman, Roberto Benigni”.

Non so dire se quest’ultima affermazione sia più di merito che di demerito per quella mia (e di Toni Comello) lontana esperienza vissuta per vari anni, a metà del secolo scorso. Quello che posso dire e fare, invece, è rievocare brevemente com’è andato l’inizio della mia successiva avventura con Dante e la sua Commedia, dopo quella giovanile del Trebbo Poetico.

Nel 1987 ascoltavo, per Radiotre, commentare e leggere - in modo del tutto nuovo e diverso da quello che fin’allora avevo ascoltato e praticato - i canti dell’intera Divina Commedia, uno per ogni giorno. Il raccontocommento e la lettura, sapientemente innovativi, erano quelli di Vittorio Sermonti. Conoscevo Sermonti dal tempo del Trebbo Poetico come giovane poeta, e di lui sapevo che insegnava all’Accademia di Arte Drammatica di Roma. Nulla di più.

L’anno dopo esce, da Rizzoli, il primo volume di quelle letture radiofoniche con la raccolta di quei commenti e dei 34 canti dell’Inferno. La supervisione di Gianfranco Contini avvalorava maggiormente l’opera intrapresa da Sermonti. Così lo invito a venire a Ravenna, nel gennaio dell’anno culturale 1989/90, per presentare il volume pubblico del nostro Centro Relazioni Culturali. Cosa che poi accadrà anche per i due successivi, contenenti le altre due Cantiche, che usciranno rispettivamente nel 1990 e nel 1993 e che noi presentammo nel febbraio del 1991 e nell’aprile del 1993.

Nel frattempo (1992), avendo il nostro Centro, promosso e organizzato il “Processo per la tragica storia di Paolo e Francesca”, invito anche Sermonti a partecipare e a leggere pubblicamente il V dell’Inferno. Il pubblico, che gremiva il teatro, fu affascinato, e compartecipe alla commozione, nel sentire raccontare e dire da Sermonti quei versi famosissimi di Dante.

Nel 1993, esce, come detto, l’ultimo volume con i 33 canti del Paradiso. Propongo a Sermonti di presentare il volume non più a Casa Melandri, ma nella Basilica di San Francesco, accanto alla tomba di Dante. E, infatti, la sera del 3 aprile del 1993, organizziamo, con la piena collaborazione dell’allora direttore del Centro Dantesco dei frati francescani, padre Enzo Fantini, la lettura dell’ultimo canto, il “Vergine madre, figlio del tuo figlio …”. Alla fine della lettura, l’entusiasmo del pubblico, che riempiva letteralmente la chiesa, si trasformò in un applauso interminabile.

Da qui, incominciai a pensare ciò che sarebbe avvenuto poi. Vale a dire la lettura completa della Divina Commedia, raccontata e letta da Sermonti, come l’avevo sentita per radio e da farsi pubblicamente in quella stessa chiesa e in quella stessa maniera, in più introducendo brevemente ciascun canto, sull’esempio del Trebbo Poetico.

A quel punto bisognava risolvere il problema del finanziamento dell’impresa che, nei progetti, avrebbe dovuto aver luogo in tre anni con due cicli annuali, in primavera e in autunno, coincidenti con i due mesi di nascita e di morte di Dante. Chi avrebbe potuto sponsorizzare il nostro “Progetto Dante Ravenna”, come lo chiamammo?

Ne parlai nel giro che conta, soprattutto con il sindaco d’allora, Pierpaolo D’Attorre, un giovane e sensibile studioso, docente dell’Università di Bologna (morto, purtroppo, prima del termine della nostra avventura). Subito si entusiasmò dell’idea e ci fu a fianco nelle nostre ricerche di uno o più sponsor. Fintanto che incontrammo la persona giusta nell’allora direttore dell’Associazione Industriali di Ravenna, Giovanni Costa, il quale ebbe l’idea, a sua volta, d’interessare un giovane e dinamico manager della Montedison, proveniente da Milano, messo a capo della Calcestruzzi dopo le note disavventure del Gruppo Ferruzzi-Gardini.Ebbene, questo manager, Giuseppe Parrello, ebbe la sensibilità di dare immediata importanza all’iniziativa e di legare in più il nome della nuova Calcestruzzi a una tale, singolare, inedita proposta culturale da realizzarsi proprio nella città “ultimo rifugio di Dante”.

Dunque, con Sermonti fissammo il calendario primaverile e autunnale dei primi due cicli di letture dell’Inferno, che ebbero inizio il 28 aprile del 1995 per proseguire nel ’96 con il Purgatorio e terminare nel 1997 con il Paradiso, dopo un’anteprima dell’ultimo canto della Commedia, alla presenza di Papa Giovanni Paolo II a Castelgandolfo, là invitati su interessamento dell’allora ambasciatore italiano in Vaticano, nonché presidente nazionale della “Dante Alighieri”, Bruno Bottai, e accompagnati dal discendente del Poeta, Pieralvise Serego Alighieri, dall’allora vicepresidente del Consiglio, Walter Veltroni, dal Cardinale Tonini, nonché dalle massime autorità civili e religiose di Ravenna e da una rappresentanza di collaboratori ed estimatori di Sermonti e delle letture dantesche promosse dal nostro “Progetto Dante”.

Così iniziò e si compì, per la prima volta in Italia e nel mondo, la grande traversata della Divina Commedia, commentata, spiegata e letta, da Vittorio Sermonti, canto per canto e per cento serate, coinvolgendo una quantità enorme di gente, sia di Ravenna, ma anche di fuori Ravenna, compresi personaggi notissimi del mondo della cultura, politica, spettacolo e del giornalismo italiani. E ciò accadeva, più o meno, con quella stessa modalità con cui Boccaccio tentò nel 1373 la medesima impresa di cui ho già detto all’inizio.

Concluso quello che fu definito dalla stampa “un evento unico, mai registrato nella storia della critica e della divulgazione dantesca”, pensammo subito che cosa fare ancora nel nome di Dante (e di Ravenna), oltre le tradizionali conferenze e iniziative varie che si tengono annualmente per onorarne l’opera e la memoria. Per la verità, cosa fare ancora per Dante, stava già scritto, come ho trovato nel libretto distribuito al pubblico che partecipava nel 1995 alla lettura di Sermonti dell’Inferno. Stava scritto così: “Qualora l’iniziativa ottenesse i risultati sperati, è già in programma la lettura annuale di una serie di canti della Commedia con la collaborazione delle Università straniere e la partecipazione di esperti lettori nella loro lingua d’origine”.

Questa prima idea mi venne suggerita da un volume dell’editore Longo, pubblicato nel 1992, che s’intitolava “L’opera di Dante nel mondo”, a cura del professor Enzo Esposito, che fu il più importante esperto di bibliografia dantesca dell’Università di Roma. Tramite il professor Gaetano Chiappini (suo amico e collega d’Università), mi misi in contatto con lui con un paio di andate a Roma, per verificare la possibilità di dare vita a una rassegna annuale di letture internazionali della Divina Commedia, invitando i relativi traduttori, esperti e lettori. Così, con la consulenza scientifica del professor Esposito, scegliemmo con Sermonti le prime delle tre traduzioni della Commedia fra le più recenti, e invitammo i traduttori Allen Mandelbaum per la sua versione angloamericana, Huang Wenjie per quella cinese e Jacqueline Risset per quella francese. A quella prima edizione della rassegna, cui demmo nome “La Divina Commedia nel mondo”, che si svolse l’11, 18, 25 settembre del 1998, parteciparono, oltre ai tre traduttori, un solo esperto e lettrice della versione cinese. In seguito, con i traduttori, prenderanno parte alla conversazione, che precede la lettura di un canto della Commedia (prima in italiano e poi nella lingua in programma), uno o due esperti, i lettori e un conduttore. Ruolo, questo, assunto da Sermonti , unitamente a quello di lettore dei canti in italiano, per i primi tre anni della rassegna internazionale. Così, di anno in anno, a partire dal 1998, si sono susseguite durante il “Settembre dantesco” ravennate, tre distinte letture che si svolgono sempre nella Basilica di San Francesco, con il determinante e costante sostegno, sin dalla prima edizione, della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ravenna, oltreché della Presidenza della Regione Emilia-Romagna e la collaborazione del Centro Dantesco dei Frati francescani, del Comune e della Provincia.

A tutto il 2010 le versioni presentate sono state quaranta (compresa una nuova versione in dialetto romagnolo) suddivise nei quattro continenti (Europa, Asia, Africa, America), con prevalenza delle versioni europee, evidentemente. Rimangono ancora varie altre versioni da presentare, fra le quali quelle, sembra, anche in sanscrito, amarico, thailandese, indonesiano e altre lingue poco conosciute, di cui faremo ricerche, così come abbiamo fatto per l’afrikaans, il nepalese, il vietnamita, coreano …

I ricordi. I ricordi sono tanti con 40 letture alle spalle. I più curiosi sono quelli legati ovviamente ai protagonisti: i traduttori.

Per esempio, quello cinese a cui venne meno la voce e chiede a Dante di scusarlo se deve far leggere ad altri il canto da lui prescelto, e depone un fiore sulla tomba, ringraziandolo d’averlo “chiamato” a Ravenna.

E la fortissima emozione che provò il pubblico apprendendo che il vecchio traduttore Pashko Gjeci, notissimo poeta albanese, aveva tradotto fra gli stenti più inimmaginabili, tutta la Divina Comedia mentre si trovava ai lavori forzati ed esiliato per anni dall’allora regime comunista? Di questo ne parlerà sul Corriere della Sera, entusiasta e commosso, in coincidenza con la nostra rassegna, anche il suo connazionale, il famoso scrittore Ismail Kadaré.

E poi la giovane traduttrice persiana di Teheran, Farideh Mahdavi-Damghani che, dopo aver tradotto la Vita Nova e la Divina Commedia per cui si aggiudica nel 2003 il Premio Internazionale “Diego Valeri” per traduttori stranieri si dedica, e traduce, con sempre più vivo e crescente interesse, alla nostra letteratura (Petrarca, Leopardi, Sciascia, Eco, la Ginzburg…) e ai nostri poeti del ‘900: Ungaretti, Cardarelli, Montale, Quasimodo. Per regalarci, infine, un’antologia della poesia italiana da San Francesco a Mario Luzi, attraverso 109 poesie di cinquanta poeti fra i più significativi della nostra letteratura. Per tutto questo, viene meritatamente premiata con la Medaglia d’Oro di Firenze e di Ravenna che, nel 2005, le conferisce inoltre la cittadinanza onoraria. Nel 2006 viene, poi, nominata Commendatore della Repubblica Italiana per i suoi meriti culturali e, nel 2011, il Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati, le assegna il Premio “Giacomo Leopardi” per la prima traduzione in persiano dei Canti del poeta dell’Infinito.

Tutti riconoscimenti, questi, che ne fanno oggi, in Italia, forse la traduttrice straniera più premiata e giustamente valorizzata. E come dimenticare la lettura - cantata come un salmo - di un canto del Purgatorio da parte del traduttore indiano di lingua malayalam, dell’estremo sud dell’India? E questo, in quanto la grande poesia, come la Commedia, è da considerarsi (a suo dire e a dire anche del traduttore nepalese) un testo assolutamente “sacro”.

Poi, il traduttore irlandese Ciaran Carson, (poeta di primo piano e professore dell’Università di Belfast) che ha regalato al pubblico la sorpresa d’introdurre il suo intervento e la lettura del canto, con una toccante suonata di flauto, da lui stesso eseguita. E ciò in quanto gli permetteva, ha spiegato, una maggiore concentrazione. Quella stessa che l’aveva aiutato a dare “una musicalità mai incontrata” alla sua traduzione della Commedia, com’è stato sottolineato dalla critica angloamericana.

Ecco, a grandi linee, raccontata la storia sin qui della nuova avventura dantesca ravennate che ha fatto scrivere a Sergio Zavoli (presidente, tra l’altro, del Comitato promotore per “Ravenna Capitale Europea della Cultura 2019”), come quell’avventura gli sia apparsa “un’intrapresa culturale che non ha pari nel mondo perché non sarebbe stato possibile neppure immaginare, altrove, di poter raccogliere e ascoltare le traduzioni della Commedia in un numero stupefacente di lingue anche lontanissime dal richiamo dantesco di Ravenna”.

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