(1989-90 / 2009-10)
Da Vittorio Sermonti a 40 versioni in Europa, Asia, Africa, America
di Walter Della Monica
Finita la Commedia, Dante, in quel settembre del 1321 a Ravenna, ebbe appena il tempo d’accorgersi che era alla fine dei suoi giorni. Morto, rimase più vivo che mai. Il culto ebbe subito inizio con i commenti alla sua opera, e tanti se ne sarebbero aggiunti attraverso i secoli, con alti e bassi a seconda dei tempi.
Il culto dantesco dunque ebbe inizio per opera del figlio Jacopo e di ser Graziolo Bambaglioli, bolognese, che spiegarono “lo Inferno” nei simboli, significati e oscurità. Poi s’ebbero i commenti di tutto il poema di un altro bolognese, Jacopo della Lana, quelli di uno sconosciuto fiorentino e dell’altro figlio del poeta, Pietro.
A metà del Trecento, Boccaccio leggeva e divulgava i primi diciassette canti dell’Inferno nella chiesa di Santo Stefano in Badia di Firenze; a lui altri si aggiunsero, l’imolese Benvenuto Rambaldi, Francesco da Buti, considerati i primi pubblici lettori della “Commedia”. Al Boccaccio fecero seguito Antonio, pievano di Vado, Filippo Villani e Giovanni Malpaghini. Poi, per mancanza di fondi, le letture furono sospese dopo il corso tenuto da Giovanni Ghedini. Riprenderanno qualche anno più tardi, in S. Maria in Fiore, sempre a Firenze, con Antonio Neri che si presterà, gratuitamente, a continuare il culto dantesco, leggendo e spiegando al popolo la “Commedia” (solo nel 1355 Lodovico Dolce la chiamerà “Divina”).
Di chiesa in chiesa, altri commentatori si alterneranno in seguito e, a Firenze, dopo un secolo dalle prime pubbliche letture, si continuano a leggere e a spiegare, ai fedeli che affollano le chiese, i versi di Dante come fossero quelli della Bibbia.
In altre città italiane intanto - siamo nel Quattrocento - va estendendosi l’iniziativa, si organizzano cicli di letture nelle chiese, università e conventi; non mancano anche pause e silenzi, non si sa se per mancanza di
commentatori (gratis et amore Dei) o di nuovi uditori. La fortuna del poeta naviga tuttavia a pieno vento.
Alle famose edizioni dell’Aldina e della Crusca, il Cinquecento aggiunge le figurazioni di Michelangelo e Raffaello ispirate a motivi allegorici della Commedia, e ciò sembra consacrare la fama di Dante, nonostante che il diagramma del culto tenda a curvare in giù, per scendere paurosamente nel Seicento a causa della riscoperta del gusto petrarchesco.
Il Settecento è ancora incerto e segue degli alti e dei bassi, pro e contro, con le nuove interpretazioni e i commenti di Vico, Gravina, Bettinelli (ferocemente contro) e Gozzi con la sua appassionata “difesa di Dante”. Tutto questo preparerà, specialmente da parte del Vico e del Gozzi, la straordinaria impennata dell’Ottocento con cui la grandezza di Dante s’imporrà definitivamente. Grandezza che Alfieri, Foscolo, Leopardi e De Sanctis consegnano al Novecento.
Ma, eccoci, arrivati ai nostri giorni. Il culto dantesco sembrava non avere più spazio per espandere la sua meravigliosa parabola. Sembrava. Il Novecento invece rinnova e amplia il massimo interesse e ascolto per Dante. E lo trasmette al nuovo secolo e poi al nuovo millennio, a sempre nuovi studiosi e divulgatori, a nuovi luoghi e ascolti, compresa quella stessa chiesa che vide il poeta per l’ultima volta. In quella stessa Ravenna che lo accolse quasi sette secoli prima e che oggi ne ha fatto un simbolo della sua lunga storia e della sua cultura.